(Cass. Pen. Sez. VI sent. n. 16669 del 17.4.2019)

Il Tribunale, con sentenza 3.11.2017 dichiarava l’imputato H. colpevole del reato di cui all’art. 279, d. Lgs. n. 152 del 2006 (esercizio di attività di lavorazione marmi e ceramica, in assenza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera), accertato in data 20.11.2012, condannandolo alla pena di 1000 di ammenda, con il concorso delle circostanze attenuanti generiche.
Con atto di appello, proposto dal difensore iscritto all’albo speciale di cui all’art. 613, cod. proc. pen., si chiedeva l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto, anche con formula dubitativa, in particolare deducendo: 1) il vizio di manifesta illogicità della motivazione (si censura la sentenza impugnata per aver dichiarato colpevole l’imputato in difetto degli elementi costitutivi del reato; si sarebbe accolta come verità assoluta la documentazione prodotta dalla Pubblica accusa, senza tuttavia indicare le ragioni che hanno condotto il giudice ad escludere le ipotesi antagoniste e a ritenere non attendibili quelle contrarie); 2) la violazione di legge in relazione all’art. 256, comma secondo, d. Igs. n. 152 del 2006 (si sostiene che, avendo la contravvenzione in esame la natura di reato proprio, la stessa richiede quale elemento costitutivo la qualità di titolare dell’impresa o di responsabile di ente da parte del suo autore, dovendosi configurare, in assenza, l’illecito amministrativo previsto dalla stessa disposizione; nel caso di specie, non sarebbe stato accertato che l’imputato fosse effettivamente il titolare dell’azienda, in quanto all’epoca dei fatti lo stesso era solo un dipendente).
L’impugnazione, riqualificata la stessa come ricorso per cassazione essendo proposta avverso una sentenza inappellabile ex art. 593, ultimo comma, cod. proc. pen., è inammissibile per genericità e perché proposta sia per motivi non consentiti dalla legge in questa sede sia perché manifestamente infondata.
Ed invero, quanto al primo motivo, la stessa – anche ove fosse stata rivolta contro sentenza appellabile – si presenta del tutto generica per aspecificità.
Le doglianze si risolvono, infatti, in una critica puramente contestativa alla sentenza, senza attingerla in specifici passaggi motivazionali, in quanto tali idonei 7L-a sollecitare adeguatamente una revisio prioris istantiae da parte del giudice del gravame. La stessa, quindi, in base all’autorevole arresto costituito dalle Sezioni Unite Galtelli, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, dovendosi in questa sede ribadire che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 22/02/2017, Galtelli, Rv. 268822). Nella specie la sentenza “appellata” individua chiaramente le ragioni della configurabilità del reato contestato, motivando sinteticamente, ma in maniera sufficiente, in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo, essendo emerso che la ditta, di cui l’imputato risultava essere il legale rappresentante, esercitava abusivamente l’attività produttiva di emissioni in atmosfera. Le censure relativa alla presunta omessa valutazione degli elementi a discarico, sono peraltro del tutto prive di pregio; non può invero che rilevarsi la assoluta genericità della contestazione, non curandosi la difesa nemmeno di indicare quali sarebbero le “prove contrarie addotte” che il giudice non avrebbe valutato, ciò che impedisce quindi a questo Giudice di legittimità di valutare la esistenza e la consistenza del vizio dedotto ai sensi della lett. e) dell’art. 606, cod. proc. pen., che consente sì di dedurre il vizio di motivazione, sotto il profilo della manifesta illogicità, ma pur sempre gravando la parte dell’onere di specificità, nella specie non adempiuto.
Quanto, infine, alla censura di violazione di legge di cui al secondo motivo, è totalmente destituita di fondamento, non solo perché la affermazione secondo cui l’imputato era dipendente non viene sorretta da alcun elemento di prova, nemmeno documentale, dalla difesa, venendo quindi smentita dalle emergenze processuali riferite in sentenza che qualificano come legale rappresentante della società a r.l. proprio l’imputato, ma non ha inoltre pregio perché la condotta contestata (esercizio abusivo di attività produttiva di emissioni in atmosfera), è condotta prevista e punita dal comma 1 dell’art. 279, d. Lgs. n. 152 del 2006, in quanto tale costituente tutt’ora reato, laddove invece, il richiamo alla sanzionabilità amministrativa, previsto dal comma 2-bis della citata disposizione, è relativo alla sola violazione delle semplici prescrizioni autorizzative, che evidentemente presuppongo il possesso dell’autorizzazione, situazione non ravvisabile nel caso di specie, in cui attività veniva svolta senza l’autorizzazione prevista dalla legge. Trova quindi applicazione il principio per cui la contravvenzione prevista dall’art. 279, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 è un reato proprio riferibile al “gestore dell’attività” da cui provengono le emissioni, quale soggetto obbligato a richiedere l’autorizzazione ai sensi dell’art. 269 del citato d.lgs.

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