Scarico di acque industriali (Cass. Pen. Sez. III sent. n. 56094 del 13.12.2018)

Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha condannato V. alla pena di 5.000,00 di ammenda, per il reato di cui all’art. 137 del d.lgs n. 152 del 2006, per avere, quale legale rappresentante della C. mantenuto scarichi di acque reflue industriali provenienti da un’attività di produzione di mosti e vini, dopo la scadenza dell’autorizzazione allo scarico, rilasciata nel 1991 e mai rinnovata.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo due motivi di ricorso.
Il primo motivo di ricorso con cui si deduce il vizio di motivazione è fondato, non è fondato il secondo motivo di ricorso. Lo “scarico” viene definito dall’art. 74, comma 1, lett. ff) d.lgs. 152 del 2006, come “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”.
Il Tribunale ha condannato l’imputato per avere mantenuto uno scarico in assenza di autorizzazione, perché quella richiesta era scaduta e non rinnovata.
Tuttavia, la prova dello scarico, che può essere fornita in qualunque modo purché venga dimostrato lo “scarico” secondo l’accezione sopra indicata, non è stata argomentata.
Il Tribunale ha unicamente rilevato che all’atto dell’accesso dei militari presso lo stabilimento di olio e vino della cooperativa di cui il ricorrente è legale rappresentante, era risultato che l’attività del frantoio era svolta in presenza delle autorizzazioni richieste, mentre l’attività vitivinicola non era in atto, nei silos vi era il vino, l’attività era svolta in locali vecchi privi dei requisiti igienico sanitari e l’imputato risultava in possesso di un’autorizzazione allo scarico risalente al 1991, scaduta nel 1999, e mai rinnovata. Da tali elementi ha tratto il convincimento che l’imputato aveva effettuato lo scarico dei reflui senza la prescritta autorizzazione sin dal 1999. Alcun accertamento risultava essere stato compiuto al fine di verificare l’esistenza di un sistema stabile di collettamento che deve collegare senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, perché, se è irrilevante la momentanea attività produttiva perché già terminata la vendemmia non di meno occorreva comunque la prova dello scarico ovvero, si ribadisce, del sistema stabile di collettamento tra ciclo produttivo e corpo recettore. In altri termini, non può ritenersi provato lo scarico dalla mera giacenza di vino nei silos.
Non è fondato il secondo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione di legge in relazione all’art. 101 comma 7 del d.lgs n. 152 del 2006.
In tema di inquinamento idrico l’assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue industriali alle acque reflue domestiche è subordinata alla dimostrazione della esistenza delle specifiche condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie (Sez. 3, n. 38946 del 28/06/2017, De Giusti, Rv. 270791).
Nel caso in esame, si tratta di mera asserzione del tutto indimostrata, non avendo dimostrato il ricorrente l’esistenza delle condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie. Pertanto, la sentenza deve essere annullata in presenza di un rilevato vizio di motivazione (primo motivo di ricorso), peraltro, come ha concluso il Procuratore generale, va disposto l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione, maturata nel corso del giudizio, del reato di cui all’art. 137 del d.lgs n. 152 del 2006 (prescrizione maturata, anche tenendo conto della sospensione del corso della prescrizione, al 01/02/2018). Il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta prescrizione del reato unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata in ordine alla responsabilità dell’imputato comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza stessa.

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