Il Tribunale di primo grado giudicava il medico curante della attrice e la struttura sanitaria in cui esercitava la professione di ginecologo, solidalmente responsabili per il danno morale, biologico e patrimoniale causato dalla nascita, non desiderata, di una bimba affetta da sindrome di Down, dopo che il medico si era rifiutato di svolgere esami e test prenatali sulla gestante.
La Corte d’Appello riformava la Sentenza e accertava in misura minore il danno biologico e patrimoniale conseguente; inoltre negava la sussistenza del danno morale. Pertanto la signora ricorre in Cassazione.
Nella decisione impugnata si rileva che la volontà abortiva è desumibile dalle insistenti richieste della gestante di effettuare una diagnosi prenatale, rifiutate dal medico curante.
Sul punto la Cassazione richiama il principio in base al quale, in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio desumibili dagli elementi di prova, gravando sul medico la prova contraria.
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il Giudice di merito deve valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale).
In proposito, si osserva che il danno psichico è per natura soggettivo e può acquisire una diversa dimensione a seconda del soggetto su cui incide. In materia di rapporto di causalità, in base ai principi tratti dagli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali o i fattori naturali su cui incide il comportamento imputabile all’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato da ogni responsabilità dell’evento; qualora, invece, quelle condizioni non possano dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è responsabile di tutte le conseguenze da esso scaturenti.
In tal modo ai fini della configurabilità del nesso causale tra un fatto illecito ed un danno di natura psichica non è necessario che quest’ultimo si prospetti come conseguenza certa ed inequivoca dell’evento traumatico, ma è sufficiente che la derivazione causale del primo dal secondo possa affermarsi in base ad un criterio di elevata probabilità, e che non sia stato provato l’intervento di un fattore successivo tale da disconnettere la sequenza causale.
Nel caso di specie rileva sottolineare che la ricorrente è risultata menomata nella sua sfera psichica in ragione dell’evento lesivo riconducibile all’operato del medico e che tale lesione non le ha permesso di rielaborare psicologicamente la nascita indesiderata.
Danni morali quando il medico è responsabile della nascita indesiderata (Cass. Civ., sez. III, Sent. n. 19151/18)
