Gli eredi convennero dinanzi al Tribunale l’Arcidiocesi e un’altra erede, esponendo che con testamento la de cuius aveva nominato eredi universali gli attori ed assegnato a titolo di legato a favore dell’arcivescovo alcuni immobili, tra cui quello in cui abitava, “per fini di culto e di religione “; che con successiva missiva datata 1943 ed inviata alla Curia la testatrice aveva vergato la seguente dichiarazione: “che l’appartamento da me abitato sia ricovero dei sacerdoti poveri e che le rendite degli altri appartamenti, di quarti e quartini uniti alle rendite dei quartini a palazzo servirà per il mantenimento dei poveri sacerdoti ricoverati “; che dal 1997, dopo che l’appartamento assegnato era stato gestito da suore per la cura di preti poveri, esso era stato trasformato in diversi mini locali affittati a terzi; che tale nuova destinazione contravveniva all’onere imposto dalla testatrice.
Ciò esposto, con atto di citazione gli eredi chiesero che fosse disposta la risoluzione della disposizione testamentaria di legato per inadempimento del modus in essa contenuto.
L’Arcidiocesi si oppose alla domanda, contestando la violazione denunziata e l’inidoneità della lettera del 1943, in quanto non autografa, ad integrare quanto disposto nel testamento del 1941.
Il giudice adito, con sentenza dispose la risoluzione della disposizione testamentaria per inadempimento dell’onere in essa previsto.
L’Arcidiocesi appellò la decisione.
Con Sentenza la Corte di Appello decise rigettando la domanda. La Corte pervenne al rigetto dell’appello ritenendo che fosse corretto il ragionamento del Tribunale laddove aveva ritenuto, al fine di ricostruire la volontà della scheda testamentaria di L.M., di utilizzare e valorizzate la lettera del 1943 dalla stessa inviata alla Curia, ove ella spiegava cosa intendesse con la locuzione “fini di culto e di religione” apposta al legato, che altresì fosse corretta la qualificazione di tale clausola come modus e che infine risultasse provato che la legataria non vi aveva adempiuto, avendo trasformato l’appartamento in mini alloggi che aveva poi locato a terzi.
L’Arcidiocesi ricorre per Cassazione.
La Cassazione ha affermato che l’interpretazione del testamento si caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca, al di là della mera dichiarazione, della volontà del testatore, la quale alla stregua dell’art. 1362 c.c. va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, e non di ciascuna singola disposizione, e che al fine di superare eventuali dubbi sull’effettivo significato di parole ed espressioni usate dal testatore deve farsi riferimento anche ad elementi estrinseci alla scheda stessa, come la cultura, la mentalità, le abitudini espressive e l’ambiente di vita del testatore medesimo, di modo che il giudice del merito, il cui accertamento è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici, nella doverosa ricerca di detta volontà, può attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purché non contrastante e antitetico, e si prestino ad esprimere in modo più adeguato e coerente la reale intenzione del de cuius.
Il rispetto dei criteri ermeneutici che mirano alla ricostruire l’effettiva volontà del testatore come espressa nel testamento impedisce tuttavia qualsiasi operazione che porti ad integrare, sulla base dei suddetti elementi valutativi, ab extrinseco tale volontà, attribuendo ad essa contenuti inespressi ovvero diversi da quelli risultanti dalla dichiarazione stessa.
Nel caso di specie la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi, dal momento che, pur svolgendo le sue considerazioni su un terreno apparentemente interpretativo, ha nel concreto utilizzato la missiva scritta dalla testatrice nel 1943 non già per chiarire cosa ella intendesse con la dicitura “a fini di culto e di religione” apposta al legato, ma per attribuire ad essa un contenuto particolare e specifico, vale a dire che l’appartamento da lei abitato doveva essere destinato ad ospitare preti poveri e il reddito degli altri beni fosse destinato al loro sostentamento. Il risultato dell’interpretazione è così consistito in un’operazione diretta non già a ricostruire la volontà della testatrice come espressa nel testamento, ma ad integrarla, attribuendole un significato comunque nuovo rispetto ad esso. L’operazione di integrazione della volontà della testatrice in forza della lettera del 1943 risultava preclusa dalla natura e caratteristiche di tale missiva, che pacificamente era dattiloscritta e quindi non olografa, sicché essa non aveva i requisiti di forma per potere avere un’efficacia integrativa del testamento.
La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra Sezione della Corte di Appello che si adeguerà al seguente principio di diritto: nell’interpretazione del testamento deve aversi riguardo alla volontà espressa da testatore nella scheda testamentaria, potendosi ricorrere ad elementi estrinseci solo per risolvere parole o espressioni dubbie al solo scopo di ricostruire l’effettiva intenzione del suo autore, mentre rimane precluso all’interprete avvalersi di tali dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento.
Sui criteri per ricostruire le volontà del testatore (Cass. civ. Sez. II, Sent. del 12.03.2019 n. 7025)
