Se un erede chiede rendiconto non si producono automaticamente effetti in favore di tutti gli altri eredi (Cass. sez. II Civ. Ord. n. 31857 del 10.10.2018)

L’attore citava innanzi al Tribunale le sorelle e figlio della premorta sorella, chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria in relazione all’asse relitto del de cuius deceduto ab intestato; con il medesimo atto introduttivo, l’attore svolgeva domanda di rendiconto nei confronti di una erede in relazione alla gestione dei terreni da lei amministrati. Si costituivano i convenuti contestando la domanda di rendiconto.
Il Tribunale dichiarava lo scioglimento della comunione e condannava una erede al pagamento della somma in favore di ciascun convenuto.
La Corte d’Appello con sentenza rigettava l’appello proposto dalla parte condannata.
In Cassazione costei ha proposto ricorso.
È principio consolidato che sussista autonomia tra il procedimento di divisione e l’azione di rendiconto. Nell’ambito dei rapporti tra coeredi la resa dei conti può essere inserita nel procedimento divisorio, ai sensi dell’art. 723 c.c., con la finalità di definire i rapporti interni inerenti la comunione. Si tratta, in questo caso, di un obbligo a sé stante, fondato sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti. Poiché l’azione di rendiconto non può pregiudicare gli interessi dei coeredi non sono ravvisabili gli estremi del litisconsorzio necessario. Ha affermato questa Corte che, nel caso in cui taluni degli eredi agiscano con azione di rendimento nei confronti dei coeredi immessisi nel possesso e nel godimento esclusivo di un bene ereditario fruttifero, per ripetere, nei limiti della quota di loro spettanza, i frutti da costoro percepiti in costanza del rapporto di comunione ereditaria, non si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli altri coeredi non possessori, in quanto ad essi nessun concreto pregiudizio potrebbe derivare dalla decisione richiesta.
Il rendiconto consiste nella formazione di uno stato attivo e passivo dell’eredità munito dei documenti giustificativi (art. 263 c.p.c. comma 1); la relativa domanda comporta, a livello processuale, che se il conto è approvato il giudice emette un’ordinanza di pagamento delle somme che costituisce titolo esecutivo (art. 263 cpv. c.c.), e che in ogni caso il giudice può disporre, con ordinanza non impugnabile, il pagamento del sopravanzo che risulta dal conto o dalla discussione dello stesso (art. 264 c.p.c. comma 3). Dall’insieme di tali disposizioni risulta di tutta evidenza che la domanda di rendiconto reca ineludibilmente in sé anche quella di condanna al pagamento delle somme che risulteranno dovute, essendo il rendiconto finalizzato proprio all’emissione di titoli di pagamento. Non viola, pertanto, l’art. 112 c.p.c. il giudice che pronunci condanna alla corresponsione di tali somme anche senza un’espressa domanda al riguardo. L’obbligo di uno dei coeredi, nell’ambito del rendiconto con gli altri coeredi (art.724 comma 2 c.c.) di restituire in tutto o in parte i frutti civili prodotti da un bene in comunione, integra ab origine un debito di valuta. La corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra affermati. Nella specie, l’attrice aveva proposto insieme alla domanda di divisione domanda di rendimento dei conti unicamente nei confronti di una erede e non delle altre parti, sicchè la condanna andava pronunciata unicamente nei suoi confronti.

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