Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di Appello ha integralmente confermato la condanna di R. alla pena di 6.000 di ammenda pronunciata all’esito del giudizio di primo grado dal Tribunale per i reati di cui agli artt. 137 e 256, 2 comma d. L.gs. 152/2006 per aver, in qualità di amministratore unico della s.r.l., scaricato nella rete fognaria comunale, in assenza di autorizzazione, i reflui dell’attività di lavorazione degli agrumi (capo A), nonché depositato in modo incontrollato i rifiuti provenienti dalla medesima attività svolta a livello industriale (capo B).
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, l’irragionevole valutazione delle risultanze istruttorie essendosi pervenuti all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato malgrado fosse emerso dalla deposizione del teste a discarico e parzialmente confermato anche dai testi dell’accusa che non era in corso alcuna attività produttiva al momento del sopralluogo eseguito di prima mattina senza che risultassero presenti i dipendenti addetti alla lavorazione ma solo i familiari dell’imputato e l’impiegato amministrativo, intenti a verificare le condizioni di manutenzione dei macchinari che erano stati messi in funzione al solo fine di consentire agli agenti intervenuti il controllo del loro funzionamento. Il mancato accertamento di uno scarico industriale che defluisse nella rete fognaria ivi immettendo i reflui provenienti dalla lavorazione degli agrumi non consentiva, secondo la difesa, avendo anche l’ispettore dichiarato di non ricordare se l’impianto al momento dell’accesso fosse in funzione, di desumere, in assenza di attività produttiva in corso, lo scarico dei reflui a livello industriale, potendosi al più ipotizzare, ove si fosse ritenuto di valorizzare la presenza di acqua nelle condutture fognarie, un deflusso di acqua soltanto occasionale e del tutto estraneo all’attività produttiva, con conseguente inconfigurabilità del reato di cui al capo a). Quanto al reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui al capo b) contesta che al cd. “pastazzo” rinvenuto sul terreno potesse riconoscersi la natura di rifiuto, dovendo quello contenuto in fusti essere considerato un sottoprodotto e venendo quello a diretto contatto con il terreno utilizzato come fertilizzante dello stesso.
Il ricorso, compendiandosi in censure di natura squisitamente fattuale e comunque generiche non confrontandosi con le puntuali argomentazioni spese dalla Corte distrettuale, deve essere dichiarato inammissibile.
Quanto al reato di cui al capo A) le contestazioni difensive si fondano sull’incondivisibile assunto, peraltro neppure incontrovertibilmente accertato, che il mancato funzionamento dell’impianto produttivo dal quale provengono i reflui confluenti nella rete fognaria, non consenta di ravvisare la contravvenzione contestata all’imputato. La condotta tipizzata dall’art. 137 d. L.gs. 152/2006 è costituita dall’apertura o effettuazione di scarichi delle acque reflue industriali, nel cui novero sono indiscutibilmente comprese quelle provenienti dalla lavorazione degli agrumi e confezionamento svolta dalla società amministrata dall’imputato trattandosi di un insediamento produttivo, in assenza dell’autorizzazione prescritta dall’art. 124 del medesimo decreto legislativo, la quale ha lo scopo evidente di consentire la verifica della rispondenza dell’intervento eseguito con le finalità di tutela dell’ambiente perseguite dalla legge. Quella che viene sanzionata è l’illiceità dello scarico in relazione ad un’attività che, come puntualmente stigmatizzato dalla sentenza impugnata, genera il decorso dei reflui ritenuto potenzialmente pericoloso per l’integrità dell’ambiente in genere e delle risorse idriche in particolare, attività che prescinde dal fatto che l’impianto fosse o meno in funzione nello specifico momento dell’ispezione. La sentenza impugnata, sulla base di elementi fattuali concreti, illustrati in maniera congrua e non contraddittoria, rende opportunamente conto del deflusso delle acque reflue nella rete fognaria comunale, che oltre ad essere stato constatato de visu dai verbalizzanti al momento del sopralluogo relativamente alle acque in uscita dallo stabilimento che “scorreva all’interno delle griglie”, viene logicamente desunto da una serie di elementi convergenti, quali la circostanza che le confezioni aziendali fossero già pronte, il rumore dello scolo dell’acqua percepito dai verbalizzanti, le fotografie allegate al verbale riproducenti la vasca di lavorazione colma di reflui stagnanti la cui condotta di scarico era collegata al sistema fognario, evidenzianti che l’attività produttiva era in atto o comunque era cessata da poco, fatto questo che rende irrilevante l’assenza dei dipendenti addetti alla lavorazione al momento dell’eseguita ispezione.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche per il secondo motivo: la Corte distrettuale ha chiaramente evidenziato, in considerazione dello stato di avanzata decomposizione dei fusti e dell’ammuffimento del pastazzo riverso direttamente sul terreno nudo, la condizione di abbandono del prodotto derivante dalla lavorazione degli agrumi, integrante perciò il deposito incontrollato di rifiuti senza che possano trovare ingresso nella presente sede di legittimità le contestazioni di natura meramente fattuale svolte dalla difesa in ordine al fatto che il pastazzo riverso sul suolo fungesse da concime, funzione che comunque non incide sulla rilevanza penale del fatto.
Tenuto conto della sentenza del 13.6.2000 n.186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità” all’esito del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo.
Scarichi e mancato funzionamento dell’impianto (Cass. Pen. Sez. VII, 2.10.2019 Ord. n. 40236)
